ANCHE PER OGGI NON SI VOLA

 

anche per oggi non si vola

La politica mi colpì in pieno come un treno in corsa che ero ragazzino. Dovevo avere 13 o 14 anni, vivevo a Rio de Janeiro. Non lo sapevo ma qualche anno prima c’era stato il colpo di stato. C’era la dittatura militare e gli squadroni della morte.

Capitava spesso andando al Collegio di incontrare cadaveri per strada ma ero solo un bambino e non mi ponevo molte domande, c’era il sole, la spiaggia e il samba e sembrava il paradiso terrestre e poi, poi c’era il nostro portico, grande e tarchiato d’archi quadri. Il portico del Muyrapiranga, l’enorme palazzo di dodici piani dove abitavo. Il portico della mia infanzia bruciata un giorno in pochi istanti che, se la realtà vuole ti prende a sberle in un attimo.

Lo venne a prendere la Polizia Militare e non lo abbiamo più visto quell’azzimato giornalista dalla penna raffinata, almeno cosi dicevano i “grandi” che noi un giornale non lo avevamo mai letto. Io quell’uomo, lo incontravo sempre in ascensore con il suo impeccabile completo di cotonina sfoderato, elegante oltremodo nonostante il caldo. Non portava mai i calzini e io, io non potevo immaginare che, un paio di calzini mi avrebbero portato cosi lontano. Odiava i calzini come me, me lo disse un giorno perché glielo chiesi che a casa mia non era concepibile portare le scarpe senza. Furono i calzini, l’unica cosa che poteva accumunare sotto il caldo dei tropici il  bambino che io ero e quel giornalista.

Era un comunista, un terrorista. Questo, tutto quello che potemmo cogliere nelle parole dei grandi per lo scempio di quel corpo portato via. Un comunista. Ancora ricordo quella parola ignota che riecheggiava sussurrata come si trattasse di un qualcosa che il solo pronunciare potesse causare chissà quale catastrofe.

Un comunista e noi ci chiedemmo cosa fosse lungo il portico tarchiato di quel palazzo candido e bianco posto lungo quell’andana di palme che era in quel tempo la rua Paissandù. E’ stato il primo sfregio importante nella mia esistenza che, ancora oggi, non riesco a parlarne senza fremere e un groppo mi sale in gola. Ognuno di quei bambini che eravamo ha cercato a modo suo la risposta a quella domanda. L’ho saputo molto tempo dopo. Talmente tanto che volgendo indietro lo sguardo ogni cosa appariva lontana e sbiadita.

Andavo a scuola al collegio dei padri barnabiti in Rua do Catete e loro avevano un biblioteca di quelle vecchie e polverose e impregnate di quell’odore strano, intenso e affascianante che hanno quei luoghi che poi nel tempo crescendo ho scoperto essere l’odore della cerca della cera data ai mobili di legno mischiata a trementina. Non sapevo che in quel brasile c’erano i libri proibiti e, i barnabiti, li avevano tutti.

Cosi facevo a botte con un amico nel patio per essere messo li in punizione e invece della vita dei santi, leggevo i libri proibiti. Cercavo il segreto di quell’uomo che odiava i calzini. Non avevo nessuno con cui confrontare quei segreti cosi facevo a botte e leggevo, leggevo… leggevo. Poi Don mauro capì che c’era qualcosa che non andava in quel mio fare a botte e mi sorprese con uno di quei libri in mano e parlammo, parlammo. Parlammo a lungo. Don Mauro è stato il primo sacerdote brasiliano a spretarsi per sposare una donna. S’era innamorato. Lo disse al suo dio che credo lo abbia perdonato perché l’amore non può mai essere un peccato.

Ne ho fatta di strada da quel giorno. Ho attraversato l’oceano che in Italia s’è fatto mare.  Ho passatogli anni di piombo senza neppure un graffio e, vi assicuro che non è stato così semplice. Per la politica mi hanno sparato due volte. Una volta i fascisti di Sommacampagna, storica sede missina e una volta la polizia a Piazza Indipendenza. Due volte mi hanno votato e sono stato eletto. Per due volte ho vinto elezioni che avrei voluto perdere e invece  ho perfino governato. Ho  sposato due miei amici con la fascia tricolore e il discorso che mai nella vita avrei potuto pensare d’unire  qualcuno in matrimonio e a onor del vero, l’unica esperienza di quel periodo che mi ha emozionato.

Questo per dire che di cose ne ho passate e tante ne ho viste e altrettante mi hanno sfregiato ma, non avevo mai visto un politico italiano arrivare li, ringraziare, ammettere la sua sconfitta e andarsene. Sono rimasto basito e, non è facile stupirmi o lasciarmi senza parole perché non sono un candido giglio. Non posso negare di averlo ammirato in quel suo gesto, così che ora comprendo le lacrime, l’amarezza e la delusione di quei miei amici con i quali abbiamo intrapreso uno stesso percorso da posizioni diverse e forse perfino lontane. Sono lacrime di passione le vostre, quella passione che per tanti anni ha accompagnato la mia regalata giovinezza a una idea di libertà e giustizia. Una passione che molti di voi ancora hanno e ancora provano.

Cosi mi sono rivisto oggi quel bambino che sono stato in quel tropico lontano dove tutto è cominciato. Mi avete regalato la vostra emozione e questo, questo per una volta ancora, mi ha fatto sentire vivo. Io che son morto tante di quelle volte che nemmeno le ricordo più.

Insomma, anche per oggi non si vola, ma domani chissà. Buona vita a tutti voi e, se potete, non cambiate.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.