D’ALEMA DI SINISTRA? MA QUANDO MAI!

2142317272-1

 

 

Caduto il muro di Berlino, morta l’ideologia politica, dopo vent’anni di berlusconismo, sdoganato il fascismo e l’idiozie da bar dello sport elevate a politica con il M5S, un’altra idea bislacca si aggira per l’Italia, quella che Massimo D’Alema sia di sinistra. Qualcuno crede perfino che si tratti dell’ultimo comunista, duro e puro. Allora mi viene spontaneo mettere insieme i miei ricordi perché forse sono io che mi sono distratto e non mi sono mai accorto di questo suo mutamento, di questo suo saltare il fosso per approdare tra quelli che sedettero a sinistra, proprio lui che la sinistra ha sempre disprezzato, proprio lui che è sempre stato criticato dalla sinistra, quando non preso addirittura in giro.

Ma chi è Massimo D’Alema  oggi elevato  a icona di una sinistra in crisi elettorale che cerca il riscatto da una serie di fallimenti che l’hanno di fatto estromessa dalla vita politica di questo nostro bel paese?

Innanzi tutti è figlio del dimenticato Giuseppe D’Alema, ex segretario del Gruppo Universitario Fascista di Ravenna che dopo l’8 settembre del 1943 aderì alla Resistenza e che fu eletto deputato del PCI nel 1963.

D’Alema figlio è del ’49 e romano e giornalista di professione, sicuramente non lo ricorderete in questa vesta ma collaborò con Rinascita ed è stato direttore de L’Unità per due anni dall’88 al ’90. Il suo rapporto con il mondo del lavoro e della politica è tutto interno al PCI. Nel 1963 si iscrive alla FGCI (l’organo giovanile del PCI)  e nel 1975 ne diventa segretario. Nel 1983 entra nella Direzione del PCI e nell’87 viene eletto per la prima volta deputato.

Fin qui le note strettamente biografiche che dicono poco o nulla del personaggio, essendo comuni a molti figli di dirigenti del PCI. Le note dolenti per l’icona del “comunista duro e puro” iniziano nel 1989, perché è proprio Massimo D’Alema che insieme con Achille Occhetto avviano l’operazione che verrà ricordata come la “svolta della Bolognina”, ovvero lo scioglimento del Partito Comunista Italiano nel Partito Democratico della Sinistra di cui diventerà coordinatore politico nel 1990 e poi segretario nel 1994, dopo le dimissioni di Occhetto in seguito alla sconfitta elettorale, quella della “gioiosa macchina da guerra”, qualora ve lo foste dimenticati.

In pratica Massimo D’Alema può a tutti gli effetti essere considerato uno dei Padri Dissolutori del più grande partito comunista dell’occidente. I più giovani potrebbero esclamare Carramba che sorpresa! Invece è solo la Storia, quella materia bistrattata dal “pensiero Debole” che la deve sempre piegare alle sue esigenze di propaganda vuota e un po’ cialtronesca tipica dei populismi di destra come di sinistra.

Affossato il PCI, D’Alema rivolge la sua attenzione al governo Prodi che, orrore, si regge grazie a un appoggio esterno con Rifondazione Comunista, la “costola” comunista nata dalla dissoluzione del PCI. Siamo nel 1998 e Rifondazione Comunista scalpita, dovendo approvare il documento di programmazione economica e finanziaria che detterà le linee guida della legge finanziaria dell’autunno.

Dividi et impera era il noto detto latino e D’alema si mette all’opera, in gran segreto anche se ormai è il classico segreto di pulcinella. Iniziano gli abboccamenti con Cossutta, per chi non lo ricordasse uno dei fondatori di Rifondazione Comunista e con Franco Marini, ex democristiano intenzionato a far naufragare il progetto ulivista alla base del governo Prodi. Nasce il famoso “Patto Segreto Marini-D’Alema”, una spartizione in un certo senso palazzinara tra Palazzo Chigi e Palazzo del Quirinale per un dopo Prodi e intanto si congiura.

Non era tollerabile ne per Massimo D’Alema ne per Franco Marini che ci potesse essere una componente comunista all’interno di un governo seppure come appoggio esterno e  ministri. Anche se quest’ultimo guardava agli interessi del suo Partito Popolare Italiano e non a quelli del progetto ulivista di Prodi. Quello che aveva come simbolo un asinello, tanto per intenderci. Per D’Alema invece  non avrebbe avuto senso lo scioglimento del PCI fatto proprio in prospettiva di andare al governo se poi…lui non ci andava.

Per farla breve, ancora una volta la Storia ci racconta come andò a finire, Cossutta divide Rifondazione Comunista nel tentativo di salvare Prodi creando un’altra “costoletta”,  i Comunisti Italiani che avrebbero dovuto appoggiare il governo con 24 deputati nonostante il niet di Rifondazione ma fa male i suoi conti, lo seguiranno in 21 soltanto, un errore di calcolo che si rivelerà fatale. Prodi cadrà per un solo voto, quello di Irene Pivetti (altra desaparecido della politica), costretta, guarda caso a casa, per l’allattamento.

Siccome mai, nessun governo di questo paese è mai stato eletto dal popolo trattandosi di una Repubblica Parlamentare, come si dice, caduto un governo se ne deve fare un altro. L’accordo con Marini prevedeva un post comunista alla Presidenza del Consiglio (indovinate chi) e un  Popolare alla Presidenza della Repubblica (indovinate chi). Per chi non lo ricordasse in quel periodo il Partito Popolare era quello che rimaneva dei democristiani dopo la sparizione della Democrazia Cristiana. Insomma si trattava di una sorta di riedizione ridotta del “Compromesso Storico” ma con comparse al posto dei protagonisti.

Il prode Prodi, bisogna dire che prova perfino a farsi reincaricare in un Prodi due, la vendetta, ma la storia è già scritta, l’UDR, altra “costoletta” della scomparsa Democrazia Cristiana ha un ben diverso.  Nasce il governo D’Alema con l’appoggio dell’UDR di Francesco Cossiga e Clemente Mastella. E’ il primo governo di un post comunista, mai stato comunista. Ma questo è solo un dettaglio.

Del suo breve governo possiamo ricordare la guerra in Kosovo con il beneplacito internazionale e la disapprovazione di tutta la sinistra italiana, quella stessa sinistra che oggi ne fa una icona comunista ma la memoria da noi è breve. La missione che bombardava il Kossovo fu simpaticamente chiamata “Arcobaleno” perché se le bombe non sono intelligenti, che possano almeno essere spiritose.

Non possiamo dimenticare il  “Patto della Crostata”, l’incontro cena avvenuto a casa di Gianni Letta per salvare la bicamerale dove la signora Letta servi ai commensali la sua famosissima crostata. Era il 18 giugno 1997 e oltre a D’Alema erano presenti l’immancabile Franco Marini (Ppi), Silvio Berluscono (FI) e Gianfrnco Fini (AN).

L’accordo della crostata per quello che riguardava la bicamerale sulle riforme costituzionali prevedeva il governo di tipo semipresidenziale e una legge elettorale maggioritari a doppio turno. D’Alema dal canto suo si impegnava a non spingere troppo sulla legge del conflitto di interessi e sopra tutto a non fare andare in porto la legge sulle regolamentazioni delle frequenze televisive che avrebbe costretto Mediaset a vendere Rete 4. Il Leader Maximo bollerà tutto questo come i soliti pettegolezzi ma varerà il decreto noto come “Salva Rete 4” che concedeva a questa emittente una “abilitazione provvisoria” a trasmettere, grazie alla quale Europa 7 si vedrà negare le frequenze a cui aveva diritto per legge. La bicamerale invece, naufragherà come tutte le altre.

La crostata comunque, a detta di tutti, era buonissima. Indubbiamente per una icona di una sinistra dura e pura non c’è male, ma si sa, in Italia in mancanza d’altro siamo di bocca buona. Ironia della sorte vuole che di tutti gli innumerevoli patti segreti o meno della storia di questa nostra Repubblica, il Patto della Crostata sia l’unico citato dall’Enciclopedia Treccani, altra ironia della sorte, diretta da un amico di D’Alema, Massimo Bray.

La bicamerale fu poi affossata da Silvio Berlusconi ribaltando l’accordo raggiunto sul semipresidenzialismo, chiedendo il cancellierato e sulla legge maggioritaria chiedendo il proporzionale. Insomma sembrerebbe ad un osservatore attento che il biscione abbia stritolato il Leader Maximo tra le sue spire, perché Berlusconi  comunque Rete 4 se l’è tenuta e in cambio non ha dato nulla.

Se la prima parte dell’accordo con Franco Marini era andata in porto, arriva il momento di varare la seconda parte, quella dell’elezione del Presidente della Repubblica. D’Alema rompe il patto e invece di Marini viene eletto Carlo Azeglio Ciampi. D’Alema ancora non lo sa, ma il suo governo è segnato,  comunque tra la guerra e il favore a Berlusconi credo si possa dire senza ombra di dubbio che più che di sinistra, il suo governo sia stato sinistro. Franco Marini dal canto suo ovviamente non glielo perdonerà e nel 2001 in una intervista al Corriere della Sera si leverà qualche sassolino dalla scarpa per cosi dire, raccontando per filo e per segno cosa accadde in quei giorni.

Arriviamo cosi al luglio del 2001 quando il Leader Maximo sorprende tutti dichiarando  che i DS, di cui è presidente (il PD ancora non esisteva), avrebbero dovuto manifestare contro il G8 di Genova. Lo stupore è comprensibile. All’inizio del nuovo millennio nessuno pensava nemmeno lontanamente che D’Alema fosse di sinistra e questo nonostante lui avesse dichiarato che da ragazzo anche lui aveva lanciato una molotov. Era però la festa di Cuore, un giornale satirico. Non lo aveva preso nessuno sul serio.

Da notare che però era stato proprio il governo D’Alema a proporre il capoluogo genovese, ma ora al governo c’era Silvio Berlusconi bisognava almeno salvare le apparenze.  Quando però viene ucciso Giuliani, in men che non si dica  D’Alema ci  ripensa e fa dietro front. E’ andata male ma tanto, tutto questo chi se lo può ricordare? Gli italiani sono un popolo dalla memoria corta e perfino io faccio fatica a ricordare tutto.

 

Il nostro Richelieu della politica italiana ritorna in auge nell’Aprile del 2006 per la Presidenza della Camera dei deputati ma il suo declino è ormai iniziato. Al suo posto viene eletto addirittura Fausto Bertinotti, segretario di Rifondazione Comunista che dedica la sua elezione agli operai e alle operaie. Per il leader Maximo una vera sberla. Non si arrende ed è tra i papabili alla carica di Presidente della Repubblica. Altra sberla in pieno volto, tradito proprio da Cavaliere di Arcore al quale da Presidente del Consiglio aveva fatto l’enorme favore di rete 4. Berlusconi non se la sentì di appoggiare la sua candidatura e aprì a quella di Giorgio Napolitano. Passano soli pochi giorni e Prodi è di nuovo incaricato di formare un governo. Presenta la sua squadra. Massimo D’Alema è Ministro degli Esteri.

Nel 2013 il suo nome riciccia fuori insieme a quello di Franco Marini in una rosa di nome presentata da Pierluigi Bersani in accordo con Silvio Berlusconi per la Presidenza della Repubblica. Sembra la Storia Infinita ma a questo punto sapete anche come è finita. Questa è storia recente.

In ogni caso, per quelli che non ricordano o fanno finta, D’Alema già nel 2003,in tempi assolutamente non sospetti, in una intervista all’Espresso aveva ben chiarito il suo pensiero sulla sinistra:

 “La sinistra di per se è un male. Soltanto l’esistenza della destra rende questo male sopportabile”

Per la cronaca, era il dicembre di quel 2003. Massimo D’Alema aveva organizzato un convegno su Bettino Craxi e, la sinistra di allora  lo aveva coperto di insulti. Lo ricorda Marco Damiliano che lo intervistò per l’Espresso presso la fondazione Italianieuropei. D’Alema tirò fuori delle lettere da un cassetto:

«Guardi, è una lettera di insulti. Ce l’hanno con me perché ho organizzato un convegno su Craxi, mi accusano di volerlo riabilitare. “Lei è un mascalzone”, mi scrive questa signora che si firma come elettrice di sinistra. Un atteggiamento puerile che però mi conferma in quello che penso da tempo…»

Per quello che mi riguarda non ho mai avuto dubbi in proposito su cosa pensasse il Leader Maximo  del comunismo e della sinistra, il suo è sempre stato e continua ad essere il pensiero di un liberale. Qualcuno di voi ricorderà Nanni Moretti in un film ormai cult che lo implorava quasi in ginocchio di dire qualcosa di sinistra

 

Il film era “Aprile”, l’anno, ancora il 1998. Il personaggio è davanti alla televisione dove sfila un famosissimo Porta a Porta dove D’Alema accanto al suo alleato Lamberto Dini, fa scena muta davanti a un Silvio Berlusconi che sproloquia sul solito attacco della magistratura nei suoi confronti.

Il film che ha come contorno la campagna elettorale del 1996, ben sintetizza la frustrazione di una sinistra che poi sfocierà nel periodo dei “girotondini”, di fronte a una leadership incapace di adoperare i mezzi di comunicazione e timorosa delle proprie idee. Perennemente incline al compromesso al ribasso, perfettamente incarnata da Massimo D’Alema.

A questo punto mi sembra abbastanza evidente che fin qui D’Alema di sinistra non abbia ancora fatto nulla ma potrei sempre sbagliarmi.

Nel 2013 ci sono le primarie del Partito Democratico e Matteo Renzi è tra i candidati. Massimo D’Alema, dalle colonne dell’Unità scriverà:

“Se Renzi dovesse diventare segretario si troverà a gestire un partito che in buona parte dovrà convincere. Non potrà pensare di impadronirsi di un partito che in buona misura lo osteggia.E’ importante che il risultato non sia plebiscitario, Altrimenti può esserci il rischio che una parte del PD non si senta più nelle condizioni di viverci dentro”.

E’ il 14 novembre, Massimo D’Alema, si erge a guardiano della fede contro il “Rottamatore”. Da animale politico quale è D’Alema ha annusato l’odore della sconfitta e agita il vessillo della scissione, proprio lui che insieme ad  Occhetto fu l’artefice della svolta della Bolognina che sancì la scomparsa del Partito Comunista Italiano.

Renzi quelle primarie le vinse con il 67,5%. Nella norma, non fu un plebiscito come se fosse stato ad ascoltare il vecchio volpone. Poco dopo prende Palazzo Chigi dimostrando una spregiudicatezza molto simile a quella di D’Alema, tanto che i soliti complottisti pensano che anche dietro quell’operazione ci fosse lui, il Leader Maximo che stava vedendo il suo peso diminuire a favore degli ex Ppi, ex Margherita e, soprattutto ex democristiani. Un cambio di tattica, dallo scontro frontale al mandare avanti gli altri e muovere i fili nell’ombra.

Tra i due sembra essersi creato un accordo, le elezioni europee sono alle porte. Da un lato D’Alema sembra essere diventato più accomodante e meno velenoso, dall’altro dall’agenda di Renzi scompare quello che ancora oggi gli viene rinfacciato dai renziani più ortodossi, la rottamazione. Si tratta di un patto di non belligeranza in vista delle elezioni?

Fatto sta che, indovinate un po’ chi è l’ospite d’onore alla presentazione del libro “Non solo Euro” di D’Alema che si tiene al Tempio di Adriano a Roma?  Proprio lui, Matteo Renzi. E il 18 marzo e davanti alle telecamere il neo premier apre ufficialmente alla candidatura di Massimo D’Alema alla Commissione Europea. Il pegno d’amore tra i due una maglietta di Totti che Renzi regala a D’alema. Una scena commovente alla luce di quanto poi sarebbe accaduto.

Pochi giorni dopo, il 9 aprile il Leader Maxino è al programma televisivo “Le invasioni barbariche”, un irriconoscibile D’Alema ricambia la cortesia renziana: quando Renzi diceva “rottamiamo D’Alema era un messaggio giusto e di cambiamento da non prendere alla lettera”. Insomma un po’ come l’avvelenata di Guccini, “ non comprate i miei dischi e sputatemi addosso”. Mica lo dovete fare sul serio. Ci mancherebbe altro

http://www.la7.it/le-invasioni-barbariche/video/lintervista-a-massimo-dalema-10-04-2014-129890

Ma non basta D’Alema riconosce perfino che la sfida lanciata da Renzi alla vecchia politica e perfino al suo predecessore Enrico Letta è, niente popo’ di meno che: “una operazione di successo”. D’Alema è talmente calato nel suo ruolo europeo che nonostante la Bignardi lo incalzi lui angelico risponde: “Ho deciso di non entrare nelle polemiche della vita politica italiana”. La Bignardi non ci crede e naturalmente nemmeno io.  Pochissimi lo ricordano ma alle elezioni europee di maggio D’Alema andrà perfino in giro in lungo e largo per l’Italia a ricordare agli elettori che “Renzi è l’unica speranza”. Carramba che sorpresa di nuovo! Ve l’eravate dimenticata la poltrona promessa a D’Alema vero? Si, e anche Renzi se l’è dimenticata infatti

Ancora una volta però niente di sinistra all’orizzonte ma forse è diventato più chiara la posizione di D’Alema  nei confronti di una Riforma Costitutizionale che il alcuni punti è praticamente identica alla fallita  bicamerale D’Alema, quella del patto della crostata e che ora è diventata tutto il male possibile e fonte di derive autoritarie. Se non c’eravate ve lo ricordo io, nel Patto della Crostata era previsto il rafoorzamento del governo rispetto al Parlamento attraverso il semi presidenzialismo.

Ora, a parte se vogliamo un giustificato rancore da parte del Leader Maximo, che essere fregati da Berlusconi pure pure, ma dal primo “sbarbatello” appena arrivato può anche dare un po’ fastidio, cosa ci vedete di sinistra in questo personaggio che ha attraversato la storia di questo bel paese nell’ultimo lustro? Io ci vedo solo qualcosa di sinistro ma forse la mia prospettiva è falsata dal marxismo che insiste nel togliere le sovrastrutture per guardare la realtà così come è.

Aspetto fiducioso vostre delucidazioni in merito cogliendo come al sempre l’occasione di augurarvi una buona vita.

 

 

 

 

One thought on “D’ALEMA DI SINISTRA? MA QUANDO MAI!

  1. ho sempre diffidato di D’Alema,da quando,come premier ,fece la guerra in Kossovo e consegnò alla Turchia Ocalan,il capo dell’opposizione curda,che si era rifugiato in Italia chiedendo asilo politico,e dal patto della crostata,quando impose il silenzio su i dibattiti che si tenevano in Parlamento,a proposito della riforma della costituzione,per intenderci la Bicamerale con Berlusconi.Adesso ,pur di togliersi qualche sassolino dalla scarpa,è disposto a tutto,anche a sfasciare la sinistra e l’Italia

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.