IL FASCINO DISCRETO DELLA DEMAGOGIA

 

 

Comunque vada a finire la vicenda di Silvio Berlusconi si illudono coloro che pensano di poter liquidare il berlusconismo per via giudiziaria. Siamo solo all’inizio di un processo sociale e culturale che trasversalmente pervade tutti gli schieramenti politici del nostro paese.  Non può essere un caso che con la caduta del muro di Berlino e la fine della guerra fredda i partiti democratici si siano dissolti senza che ci siano stati vincitori e sconfitti.  Da un lato è finita la Democrazia Cristiana che di quella caduta avrebbe dovuto raccogliere i frutti e allo stesso modo è scomparso quel Partito Socialista ch’era stato determinante nei contrapposti equilibri di governo tendenti ad escudere il Partito Comunista che, invece, in qualche modo e seppur piuttosto malconcio è sopravvissuto cambiando veste e idee. Sono sopravvissuti con alterne vicende anche i missini, cioè gli eredi naturali di coloro che avevano perso la seconda guerra, e che per un lungo periodo erano stati ai margini della vita repubblicana.

Già solo in questo si dovrebbero cogliere la particolarità del nostro paese rispetto alle altre nazioni europee, dove destra e sinistra ancora hanno un loro senso logico. Berlusconi non solo è il personaggio che meglio ha saputo sfruttare il momento storico in cui si è trovato ma è anche quello che nel bene e nel male, a seconda dei punti di vista, ha saputo costruire un fenomeno sociale che negli anni farà riferimento al suo nome. Il berlusconismo, per l’appunto. Una particolare forma di populismo tutto italiano. Con lui finisce il tempo delle “scuole quadri” dei grandi partiti dove i giovani si formavano con umiltà al mestiere della politica, per poi presentarsi candidati nel proprio comune. Dovevano dimostrare di poter prendere i voti, di avere delle capacità e salire uno ad uno i gradini della scala delle investiture pubbliche. Un lavoro lungo, faticoso e non per tutti che però aveva finito per creare una classe dirigente inamovibile.  Con Berlusconi questa era finisce definitivamente in soffitta ed inizia un nuovo processo che vanta numerose imitazioni dallo stesso Di Pietro finendo nell’ultimo arrivato, quel movimento di Grillo che ha sorpreso tutti e passando per quel Bossi che ancora prima del Cavaliere ma senza gli stessi mezzi economici, aveva fiutato il vento.

In questa “nuova” visione il politico non è più quello che deve guardare al futuro e creare le condizioni per cui questo futuro possa essere tale secondo gli interessi che si vogliono difendere. La politica finisce di essere il confronto tra diverse idee contrapposte, diverse visioni di una società e del suo divenire. Bisogna cercare il contatto fisico e passionale con la folla, un contatto che sia quasi carnale. Il politico non deve più condurre il “popolo” verso un qualcosa che solo lui è in grado di vedere con chiarezza ma deve interpretare gli umori della folla, quello che lei vuole e farsi immagine di questi desideri alimentando il fuoco del conflitto, creando avversari e nemici anche dove questi non ci sono.  L’anti berlusconismo è l’altra faccia dello stesso fenomeno, uno è fondamentale per l’altro come in un dualismo di tipo religioso dove non può esserci bene se non c’è di conseguenza anche il male. Come a dire che non potrebbe esistere nessun berlusconismo senza il suo opposto.  Viene archiviata l’idea un po’ romantica del condottiero. Il popolo va lusingato e bisogna dargli esattamente quello che lui vuole, bisogna dare una “copertura politica” alle sue frustrazioni alla sua, per forza di cose, “ignoranza”. Non più il sogno talvolta visionario di un altro mondo possibile ma solo il vivere presente con i suoi più ineluttabili bisogni perfino fisiologici. La realtà non deve essere modificata ne indirizzata ma soltanto gestita per la realizzazione del consenso attorno alla figura di un leader che è, in fin dei conti, espressione di un nulla. Un nulla che però in ogni momento può essere modificato e diversamente plasmato.

Muore, televisivamente parlando, il sogno demodé della calza di seta che sull’obbiettivo sfumava e addolciva i lineamenti, usata per l’ultima volta in quel primo messaggio di Berlusconi al Paese, un’immagine che vent’anni dopo fa quasi tenerezza. Oggi la tecnologia permette ben altro, ci sono i talk show e le piattaforme sociali che consentono ai politici di non spiegare le proprie idee ma di contrapporle violentemente, ovviamente quando se ne hanno. E’ l’imperio dell’alterco, del parlarsi addosso contemporaneamente uno sull’altro cercando di urlare più forte. La lite dell’assemblea di condominio elevata a confronto politico che diventa spettacolo di successo. E l’audiece si trasforma in voti tra le ciane di paese e le chiacchere al bar, per quel noto processo di identificazione per cui lo spettatore si rende perfettamente conto di essere anche lui all’altezza del politico che sta vedendo, il politico che sta dicendo le sue stesse cose, nel suo stesso modo.  Un politico che in nulla e per nulla è migliore di lui… anzi.

Il berlusconismo ha semplificato l’accesso alla politica. Nessuna gavetta, nessuna particolare competenza, la politica è fruibile da tutti e da tutti esercitabile non essendo altro che uno spettacolo dove è l’immagine di se la cosa fondamentale e non i contenuti che possono essere ridotti a meri slogan di cui non è necessaria alcuna spiegazione e posso diventare un tormentone da ripetere all’infinito.

Non solo il berlusconismo non è finito, anzi è appena cominciato a mio modestissimo parere, ma ha ormai profondamente modificato i rapporti sociali e culturali nel nostro paese. Tutti, volenti o no, ci dovranno fare i conti, compreso quel Movimento 5 Stelle che più d’ogni altro ne incarna e ne assorbe gli “insegnamenti” seppur rigettandoli.  Lo stesso Renzi, altro fenomeno del momento (ma siamo ancora ben lontani da un “renzismo”) sta rispolverando l’antiberlusconismo nel suo tentativo di ascesa. Come fece il Cavaliere di Arcore del resto. Anche lui, in questo contesto, si rende conto che deve crearsi un nemico. Un nemico che sia al di fuori del suo partito. Un nemico che possa coalizzare i militanti più dubbiosi nei suoi confronti, quelli ancora romanticamente attaccati a un’idea che non c’è più fin dai tempi di Ochetto e allontanare da se gli avversari che stanno dentro il suo stesso partito e che lo vedono come fumo negli occhi. La partita è ancora aperta e, dal mio comodo punto di vista, la osservo con un certo e mal celato… orrore, che, come dice una persona a me cara, i miei riferimenti son tutti morti.

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