IO SO

00000000000000000000000000000000000000000000Era il 14 novembre del 1974 e Pier Paolo Pasolini scriveva “Io so”. Era un testo forte, erano anni forti, duri dove lo scontro politico non era solo verbale. Erano gli anni delle stragi e poi quelli di piombo, anni che, alcuni hanno attraversato non da semplici spettatori. Erano anni in cui per un’idea si poteva anche morire e li abbiamo anche visti morire. A me hanno sparato due volte, una volta la polizia a Piazza Indipendenza, un’altra volta i fascisti di Sommacampagna. Io ero ragazzo e Pasolini scriveva “Io so” un testo che andrebbe riesumato soprattutto di fronte ai tanti frequentatori della tastiera che credono basti digitare due parole su un pc per fare della politica, per sentirsi dei novelli Che Guevara. Nei miei girovagare in rete ho incontrato perfino che si attribuisce la vittoria di Matteo Renzi e del PD alle elezioni europee, il che non sarebbe grave, i manicomi sono pieni di gente che si crede Napoleone solo perché si infila un dito nell’orecchio, la cosa grave è che trova perfino chi ci crede.

Rileggere oggi “Io so” dopo non so quanti decenni dalla prima volta (fate un po’ voi il calcolo) fa una certa impressione soprattutto nell’era digitale dove nessuno si sporca mai le mani, al massimo i polpastrelli se non ha pulito la tastiera. In pratica in quel lungo e appassionato pamphet sosteneva di conoscere i nomi di coloro che avevano fatto i tanti “golpe” italiani, i nomi dei responsabili della strage di Milano, di Brescia, di Bologna. Diceva di sapere i nomi di chi aveva alimentato la “strategia della tensione”. Diceva di sapere tutti questi nomi, di chi stava dietro ai fascisti e dei malfattori comuni che si erano prestati come killer.

Pasolini diceva di sapere tutti questi nomi ma di non avere ne prove ne indizi: “Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace”.

Il magistrato, l’uomo comune hanno bisogno di prove, lui no, Pasolini non ne aveva bisogno. Pasolini era un uomo del suo tempo, immerso in quel suo tempo. Pasolini era un intellettuale nel senso pieno del termine, usava quel dono che ci contraddistingue dagli animali, la mente. Ancora prima Oscar Wilde durante l’ignobile processo che lo portò alla morte sosteneva che l’unico vero peccato che un uomo può compiere dinnanzi a Dio è quello di essere idioti. Molte possono essere le colpe che si possono attribuire a questi due grandi uomini ma non quella di essere idioti.

Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia, scriveva ancora oltre sempre in “Io so”, era il 1974 e sembra non sia cambiato molto in questo nostro bel paese se poi lo rapportiamo al mondo di internet ci cadono le braccia che poi il virtuale altro non è che un feroce spaccato della nostra società “leccaculista” e farcita di “ignavi”.

E, Pasolini andava alle assemblee, dove c’era la gente vera in carne ed ossa che la tastiera era ancora di li a venire e, e in pieno “sessant’otto” difese i “celerini” figli del “popolo” che manganellavano gli studenti universitari, figli della borghesia. Non ho timore di affermare che in quel tempo non fui dalla sua parte, io che con altri la vita la rischiavamo ogni giorno con quella spavalderia che hai solo quando sei giovane e credi che tutto il mondo possa essere contenuto nel tuo pugno chiuso.

Aveva ragione lui che, con il passare degli anni, quelli che avevi intorno si sono tutti sistemati con i soldi di papà e, e in galera sono rimasti quelli che non lo erano a scontare pene che spesso e volentieri nemmeno gli appartenevano.

Lui aveva ragione e io avevo torto. Io sono ancora vivo e lui è morto, assassinato poco lontano dove poi io per anni ho lavorato che a volte l’esistenza è uno strano cerchio. Così uno che io ho contribuito a mandare in galera ai tempi di quando ero stato eletto (mi è accaduto per due volte consecutive) è finito in galera con Pelosi per alcuni mesi, arrestato di nuovo a Guidonia per tutt’altri reati. Per chi non lo ricordi, Pelosi è l’assassino di Pasolini.

E, e ancora in quello scritto Pasolini si interroga domandandosi come mai gli uomini politici, gli uomini politici di quel suo stesso partito che come lui non potevano non sapere non facevano quei nomi . Si rispondeva da solo Pasolini: “ È semplice: essi non li fanno nella misura in cui distinguono – a differenza di quanto farebbe un intellettuale – verità politica da pratica politica”.

In quel tempo, ero giovane me ne scuserete, io scambiai questo suo scritto come un atto di accusa, vi invito comunque a leggerlo dall’inizio alla fine, quale errore il mio! Il suo era un inno all’intelligenza, all’intelligenza che ogni intellettuale dovrebbe avere, di non rendersi mai servo di nessuno se non della propria mente e delle proprie idee.

Erano giorni che questo suo scritto mi frullava per la mente, che come una falena sbatteva qua e la nei miei sogni, quei sogni vespertini che rimangono impigliati tra le palpebre al primo sole e non vogliono dissolversi. Capita, capita quando il panorama del mondo appare in tutto il suo scheletrico orrore e ti rendi conto che tutti i tuoi riferimenti sono morti, alcuni senza nemmeno essersi presa la briga di avvertirti.

Sono figlio di quei tempi e questi non mi appartengono me ne rendo conto anche se come nel Gattopardo (mai un libro ha cosi ben descritto l’anima più profonda di un paese) osservo senza partecipare, un atteggiamento che di sicuro Pasolini non approverebbe. Credo però di aver dato abbastanza e non da dietro una tastiera come è abitudine di molti al giorno d’oggi che al massimo ti “sparano” un’idiozia.

Se ne avete voglia e il tempo andate a rileggere quell’appassionato scritto di Pasolini che appena un anno dopo, il 2 novembre del 1975 veniva assassinato. Del suo assassino conosciamo il nome dei mandanti… anche, perché come lui, anche “Io so” e non ho bisogno di prove.

 

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