LA MIA BISNONNA E BUFFALO BILL

 

 

 

La memoria è un malchiuso portone dal quale filtrano i ricordi come spifferi d’un vento ch’a volte è tiepido, caldo e conforta. Esterina era la mia bisnonna, uno di quegli spifferi che t’avvolge con la tenerezza di una coperta tirata fin su nel volto e rimboccata. Ha vissuto la sua centenaria esistenza a cavallo dei due secoli passati, gli ultimi del millennio che è appena scorso, quello che per nulla appartiene ai giovani di oggi.  Nacque che la tecnologia aveva portato la luce nelle case e nelle strade ed era il gas con tutti i rischi che questo comportava e le automobili ancora non erano state inventate e siccome la frusta per le carrozze si impugnava con la destra la circolazione era a sinistra onde evitare che questa si impigliasse nel ramo degli alberi che ornavano i viali.  Nella mente di quel curioso bambino che io ero, i suoi racconti non erano memorie, ma favole e storie fantastiche d’un mondo di fantasia che talvolta rivedevo al cinematografo, quello della sala Traspontina a due passi dal Vaticano.  Se agli altri bambini leggevano le favole, io la mia favola personale ce l’avevo in carne ed ossa…insomma più ossa che carne a onor del vero che nonna Esterina era decisamente incartapecorita dal tempo.  E’ stato solo molti anni dopo che ho compreso che quel suo modo di parlare che rendeva particolare, magico e lontani i suoi racconti era dovuto soltanto al fatto che quasi non avesse più i denti.  A me quella cadenza da voce fuori campo dei cartoni animati affabulava ed io le chiedevo “dai nonna raccontami di quando le cose non c’erano”.  Si perché era la mancanza, ciò che era per me incredibile, la mancanza di tutte quelle cose che conoscevo e che davo per scontato fossero sempre esistite essendomi inconcepibile un’esistenza priva di luce elettrica che con un click accendevi casa o senza le automobili che in un attimo eravamo al mare lungo la fettuccia di Terracina oppure in montagna al Terminillo ma più di ogni altra cosa (e credo di essermelo fatto raccontare qualche centinaia di volte) era Buffalo Bill che mi mandava in estasi.  La mia bisnonna lo aveva conosciuto e con lui Toro Seduto cosa che, nel mio immaginario dell’epoca era come m’avesse detto che Cappuccetto Rosso veniva a cena.  Era come potessero prendere vita reale i soldatini che mi compravano se portavo buoni voti da scuola, come si diceva a qual tempo in cui erano numeri che non si potevano discutere e i doppioni delle figurine Panini dovevi per forza di cose scambiarli se volevi in qualche modo finire l’album.  Erano altri tempi, tempi in cui soldatini e sigarette erano appaiati dal fatto d’esser venduti sciolti, una di quelle cose che univa generazioni tra loro distanti.

Non si faceva mai pregare, forse perché le piaceva qualcuno l’ascoltasse ed ecco l’attacco alla diligenza lanciata in una frenetica corsa indiavolata che era come fosse nella sala da pranzo il furente calpestio di zoccoli che divoravano praterie infinite.  Erano nugoli d’urlanti pellerossa dai volti dipinti, feroci e selvaggi, nudi fino alla cintola e frecce e schioppettate. Era Custer circondato ch’allora m’appariva come un eroico combattente e poi i cow boy che prendevano al lazo il bestiame senza mai sbagliare un colpo. Era il dispiegarsi del mio personale cinematografo che nonna nel suo ripeterlo non aggiungeva ne toglieva mai alcun dettaglio,  e io, questo, lo apprezzavo più d’ogni altra cosa.  Apparteneva mia nonna da una generazione che raramente s’era spostata dal luogo di nascita, ovviamente, non aveva mai preso una nave e tanto meno attraversato l’oceano per recarsi nel Nuovo Mondo ma ogni sua parola era vera come l’iddio in cui  credeva fermamente .  Era la sua famiglia imparentata con la curia romana, una cosa che oggi com’allora comportava dei vantaggi.  Ebbe per questo un posto d’onore nel Wild West Show, il circo di Buffalo Bill che si fermò a Roma durante la tournée europea.  Era il 1890 e doveva essere giovanissima allora ma io, io nella mia fantasia non potevo immaginarla diversa da come la vedevo, così era vestita di nero, con la veletta e curva e incartapecorita dal tempo mentre stringeva la mano a Buffalo Bill.  Mi sorrise, raccontava ogni volta. Toro Seduto no, non mi strinse neppure la mano rimanendo impassibile come una statua di sale.  Non avevo mai visto una statua di sale in vita mia, non sapevo nemmeno se esistessero ma io  lo avevo il soldatino di Toro Seduto ed era proprio eguale al racconto di mia nonna.

 

 

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