LA NECROPOLI DI GROTTAROSSA

 

E’ la Flaminia una consolare di dimenticata storia e gloriosi fasti lunga 200 miglia romane che taglia in due la penisola sfociando nel Mare Adriatico. Voluta dal console Caio Flaminio attorno al 220 A.C,, si snoda per antichi percorsi etruschi nella pianeggiante fascia ad est del Tevere attraversando i ricchi e popolosi territori dell’agro Falisco, l’Umbria e il Piceno per calare nel litorale adriatico ed è Fano e Pesaro per poi svoltare ad angolo retto e puntare di nuovo diritta fino ad Ariminum, Colonia di Diritto Latino e odierna Rimini.

All’altezza di quello che fu il IV miglio dell’antica Flaminia, è Grottarossa, zona che prende il nome dalle caratteristiche grotte di tufo rosso rinvenute presso l’omonima via e che dovevano essere abitate da ominidi preistorici di cui si sa poco o nulla. E’ una delle fermate di un trenino urbano, la linea Roma Viterbo.

Sul finire del parcheggio, dove meno pensereste che possa essere, è l’area archeologica che andremo a scoprire grazie all’impegno di Legambiente e ai suoi volontari. Siamo dei privilegiati perché l’area sconosciuta aI più è chiusa al pubblico e, per quante volte possiate scendere dal treno non vi rendereste mai conto della sua esistenza, sebbene solo un approssimativo cancello ne sbarri l’accesso.

Non ci vuole molto, il cancello viene aperto e accediamo in quella che è l’area archeologica di Grottarossa.

Per quanto l’erba sia piuttosto alta salta subito agli occhi il tratto di basalto. E’ l’antica via Flaminia che si snoda dinnanzi al nostro sguardo con ancora parti laterali di marciapiedi. Quella davanti a noi è una via che ha più di 2000 anni e viene spontaneo pensare che quelle che costruiamo oggi non dureranno di sicuro cosi a lungo.

In realtà,le vie romane erano opere di ingegneria, erano costruite a strati di cui noi siamo soliti vedere soltanto il Summum Dorsum, la classica copertura finale di basalto che era, non già come la vediamo oggi, ma piuttosto liscia consentendo ai carri notevoli velocità per l’epoca e a schiena d’asino per consentire il deflusso dell’acqua drenata dagli strati inferiori.

E’ proprio da questa costruzione a strati che viene il nome di “strada”, derivando il termine dall’iniziale “viae stratae” ovvero via a strati. In inglese “street” e in tedesco “strasse”, tanto per servire gli amanti delle cose curiose e singolari. Che nemmeno le parole nascono per caso.

Nel basalto di questo tratto dinnanzi a noi possiamo vedere i solchi lasciati dai carri che per secoli l’hanno percorsa senza nessuna necessità di grosse manutenzioni, che questo era un punto di forza delle strade romane che oggi abbiamo dimenticato.

Ai lati dei tracciato di basalto della  Flaminia sono visibili due imponenti mausolei risalenti probabilmente al periodo augusteo. Uno di questi a pianta stellare che presenta 12 nicchie, era originariamente rivestito di marmo e  ai suoi piedi possiamo vedere i resti di quei rivestimenti marmorei pronti per essere trasportati a una calcara, triste usanza che risale alla caduta dell’impero romano.

 

Per secoli e secoli, statue e rivestimenti di monumenti, sono stati sbriciolati e cotti per ricavare la calce, distruggendo autentici capolavori che possiamo solo immaginare.

L’altro imponente  mausoleo,del tipo  “a torre” posto sull’altro lato della flaminia, nel medioevo è stato riadattato come fortilizio di un sistema integrato che doveva controllare il Tevere: 

Nel tracciato della Flaminia possiamo ancora vedere un “diverticulum” che conduceva a una delle ville rinvenute lungo il tracciato ma che non è possibile vedere, mentre invece entreremo all’interno di uno dei due mausolei, forse legato ai proprietari della villa sul Monte delle Grotte o di quella che occupava l’area di Casali Molinario. Solo supposizioni ma che affabulano il nostro immaginario pronto a viaggiare sulle ali della fantasia quando la storia non ci supporta. E’ il primo mausoleo, quello circondato da nicchie.

Dentro è buio e umido e non molto ampio rispetto all’esterno, ma entriamo dove ad altri non è concesso e già solo questo risveglia i nostri più infantili desideri del proibito.

 

E’ l’entrare nell’antro, la volta che si intravede a tratti, le mura nel caratteristico “opus reticulatum” che utilizzava i “cubilia” con una faccia regolare e quadrata e un retro piramidale secondo una particolare tecnica costruttiva romana che utilizzava un sistema di colatura di una sorta di cementizio per realizzare le pareti che poi potevano rimanere così come le vediamo oggi oppure  ricoperte da intonaco.

Non abbiamo molto tempo a disposizione, ma godiamo d’ogni momento cercando nei buiori qualcosa che possa ad altri essere sfuggito. Poi, dietro di noi richiudiamo la porta in ferro cigolante e rugginosa che ogni cosa che ha un inizio ha anche una sua inevitabile fine. Aiutiamo a rimettere i lucchetti che non vogliono rientrare nei loro alloggi e siamo già pronti per altre scoperte, lungo la linea di questo trenino

 

 Ringrazio Fulvia Polinari della Soprintendenza Specile per Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma per avermi magistralmente condotto in questa scoperta, il Circolo di Legambiente di Castelnuovo di Porto per aver organizzato l’evento nell’ambito della manifestazione Treno Veio Tuscia e tutti coloro che insieme a me hanno vissuto questa straordinaria emozione.

 

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