LA RIVOLUZIONE CHE NON CAMBIA NULLA

 

Roland Barthes, semiologo francese autore di “Frammenti di un discorso amoroso”, sosteneva a ragion veduta, l’ambiguità delle parole e di conseguenza la loro carica simbolica.  Parole che spesso e volentieri nello sproloquiare della politica, assumono significati (l’esimio professore distingueva anche i “significanti”) ben diversi da quelli che l’ignaro, quanto illetterato, capo popolo del momento, vorrebbe far recepire ai propri accoliti.  Come a dire che la lingua, questa si ribelle e consapevole, sfugge alla volontà di coloro che incautamente la utilizzano, facendosi graffiante e sagace satira a loro insaputa.

Nel pensiero dei nostri attuali politicanti ricorre spesso una parola senza considerare che mentre nel paese di Barthes ha dato origine a un cambiamento epocale, da noi è durata al massimo cinque giornate oltre tutto mal studiate a scuola, tanto che pochi ne avranno ancora memoria.

Ora nelle intenzioni dei nostri casarecci capi popolo, il termine rivoluzione dovrebbe evocare sconvolgimenti più o meno catastrofici della realtà. Per chi come me e sicuramente tanti altri, osserva invece con un malcelato orrore e totale distacco un mondo sempre più distante dall’umano sentire, la rivoluzione nel nostro italico contesto non può che apparire con ben altro e più realistico significato.  Si ha una rivoluzione nel momento in cui completato un giro si torna al punto di partenza.

In definitiva, ancora una volta seppur sotto mentite spoglie,  la gattopardesca memoria di un paese che non può cambiare, perché la sua storia è fatta di tutt’altro che ribellioni.  Gli “attori” in campo, a qualsivoglia schieramento possano apparire non recitano una tragedia e neppure una commedia, sono interpreti di una farsa messa in campo per l’uso ed il consumo di un popolo che se almeno fosse bue tirerebbe l’aratro.

So bene che cosi dicendo qualcuno avrà a dire che pensando in questo modo le “cose” non si cambiano come se il dire potesse essere sinonimo del fare. I realisti prenderanno invece in prestito quella parte del pensiero marxista che ritiene che per cambiare una realtà bisognerebbe prima almeno capirla.

 Enunciare rivoluzioni non ci fa solo per questo diventare quei rivoluzionari che non siamo mai stati al massimo scatena i mastini della satira, un po’ dormienti in un periodo in cui i personaggi politici non devono nemmeno essere trasfigurati per rendersi ridicoli.  Basti pensare ad un Brunetta che chiede la grazia per conto di Berlusconi, sostituendosi alle figure deputate a farlo. Come avesse chiesto a Napolitano di entrare nel corpo dei corazzieri del Quirinale senza sapere che … la sua età non glielo consentirebbe!

 

 

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