LA TERZA NONNA

LA TERZA NONNA

Nel corso non proprio lineare della mia esistenza, mi è accaduto più di una volta di toccare sorella morte, a volte solo sfiorandola, a volte abbracciandola. Questa certezza, l’unica che in fin dei conti abbiamo fin dal momento in cui nasciamo, ha sempre aleggiato nella mia famiglia. Mio nonno ancor prima che nascessi si sparò un colpo di rivoltella alla tempia nel più  classico dei modi di un tempo e questa sua sconosciuta figura ha accompagnato i miti della mia adolescenza.

Non essendo in alcun modo credente la dipartita degli altri ha sempre avuto un effetto devastante mancandomi completamente l’elaborazione del lutto. Se ne vanno portandosi dietro pezzi di me, tanto da pensare che la mia fine possa giungere nel momento in cui tutti quei frammenti piccoli o grossi che siano, sono finiti. Alla mia invece ho sempre pensato con distacco, come se la cosa non mi riguardasse affatto. C’è del vero in questo, infatti riguarda più che altro quelli che restano. Nel bene come nel male.

Con il dolore ci convivi, non è vero che con il tempo passa, semmai lo dimentichi a tratti ma è sempre li e… ti aspetta, sapendo che non mancherai all’appuntamento. Personalmente sono un tipo puntuale, lo ritengo un’innata forma di rispetto, non tanto degli altri quanto di me stesso.

Per motivi troppo complicati da narrare nelle brevi  e possibili righe di una riflessione estiva, ho avuto tre nonne, quella che a tutti gli effetti non lo era, quella che più di tutte lo è stata. Lei se n’è andata tra le mie braccia lasciandomi solo il suo corpo, secco, gracile e vuoto. E’ una sensazione che spesso mi torna alla mente, quel momento in cui mi sono reso conto che mi stava lasciando portandosi dietro, ultima di una stirpe, quel mondo che non sarebbe più tornato in dietro.

E’ un attimo, quello, un attimo soltanto che poi dura tutta l’esistenza fin quando non ti spegnerai pure tu. S’è afflosciata e non c’era più. Inutile chiamarla, inutile la rabbia e il dolore che come scheletriche dita artigliate ti attanaglia le visceri e pare strappartele e torcerle e ancora affondare nelle carni che le tue sono vive. Inutile il dirotto pianto e l’urla per quell’abbandono.

Ci siamo voluti bene. Lei di più perché io la davo per scontata. Ho allungato la mano dietro di me e quel mondo che aveva rappresentato non c’era più. Non c’era più nessuno. Non ero solo, ma quel giorno mi sono sentito solo. Si era portata via le uniche mie radici, quelle che affondavano nel tempo del mio primo vagito sullo scheletrico panorama di un mondo che non avevo mai amato.

Pensai di aver pianto tutte le lacrime possibili e di aver provato tutti i possibili dolori ma, naturalmente non era cosi. No, il tempo non cancella, forse perché non viviamo cosi a lungo da potergli dare questa possibilità.

Era vissuta all’ombra del Vaticano e se n’è andata tra le mie braccia nella periferia romana. Si sa come si nasce ma nessuno può dirti come morirai…forse. Tante volte ho sfiorato sorella morte. Quel giorno l’ho abbracciata e l’ho tenuta stretta come se la mia vita potesse bastare ad entrambi. Sono passati quasi trent’anni eppure sembra ancora ieri e, ovviamente, la mia vita bastò appena a me stesso.

Ho sfiorato tante volte sorella morte e le ricordo tutte le volte, una per una ma quella volta che l’ho abbracciata, ha segnato la mia esistenza.Image00001

 

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