LA VILLA DI LIVIA

 

Ci narrano Plinio e Svetonio che  ” … a Livia Drusilla … un’aquila lasciò cadere dall’alto in grembo … una gallina di straordinario candore, e … teneva nel becco un ramo di alloro con le sue bacche. Gli aruspici ingiunsero di allevare il volatile e la sua prole, di piantare il ramo e custodirlo religiosamente. Questo fu fatto nella villa dei Cesari che domina il fiume Tevere presso il IX miglio della  via Flaminia, che perciò è chiamata ad Gallinas; e ne nacque prodigiosamente un boschetto. In seguito Cesare nei suoi trionfi tenne in mano un ramo e portò sul capo una corona presi da quel bosco, e così fecero tutti gli altri imperatori. Si trasmise la consuetudine di piantare i rami che essi avevano tenuto in mano, ed esistono ancora i boschetti con l’indicazione dei loro nomi …” …….”… e si vide che alla morte di ciascuno di essi l’albero da lui piantato inaridiva. Così nell’ultimo anno di Nerone la selva intera arse sino alle radici e tutte le galline vi morirono …”

Livia Drusilla Claudia era la moglie dell’imperatore Cesare Ottaviano Augusto, nonché bisnonna di Caligola e trisavola di Nerone e questa leggenda ricordata nel toponimo  di una strada di Prima Porta a Roma, poco distante dalla villa di Livia, via delle Galline Bianche, che nulla nella storia si perde per sempre, riemergendo a tratti dove meno te lo aspetti.

E’ la villa di Livia, uno di quei siti archeologici lungo la via Flaminia dimenticati dagli itinerari turistici, ricchi di storia, immersi nel verde e assolutamente godibili, non avendo nulla da invidiare ad altri e più noti luoghi della nostra storia antica. Anche questa area archeologica si trova a ridosso della fermata del trenino della linea Roma-Viterbo, come l’altra che abbiamo visitato, quella di Grottarossa. La stazione è quella di Prima Porta, nell’agro romano così chiamata per la presenza di un arco quadrifonte risalente alla fine del IV secolo e citato in alcune fonti come Arcus Divi Costantini, oggi inglobato nella struttura di un casale, quello di Malborghetto, diventato chiesa nel seicento dedicata ai SS Urbano e Lorenzo. L’arco posto all’incrocio tra la via Flaminia e la via Veietana poteva essere considerato come una prima porta di Roma, da qui il toponimo che però si ritrova in uso solo nel XIII secolo, perché anche in questo caso le notizie sono nebulose, frammentarie, sparpagliate e a volte perfino contraddittorie e, forse proprio per questo, assai più affascinanti e degne d’essere considerate, amate, possedute e divulgate.

Fin troppo ovvio che non troverete nessuna indicazione per raggiungere il sito archeologico che è aperto al pubblico in giorni e orari diversi, che nel nostro peregrinare dev’esserci un minimo di imprevisto, di insolito  e bizzarro, che il troppo facile non ci aggrada e certi luoghi devono essere una conquista e non una facile preda da esibire in trionfo. Per trovarlo, una volta scesi dal trenino vi basterà guardare in alto. Domina la valle del Tevere e quelli che vedete sono gli imponenti muri di sostruzione della base della villa costruita su una collina artificiale con terra di riporto.

Se oggi la villa della moglie di Augusto è uno di quei siti poco noti e dimenticati, nel passato invece era talmente conosciuta da essere stata più volte depredata dei suoi tesori dalla fine dell’Impero in poi. Come molte delle nostre cose, fu molto apprezzata dagli stranieri, tanto che  durante la guerra villa Livia fu usata dal comando tedesco come postazione strategica a picco sulla valle del Tevere e gli alleati la bombardarono.

I  bombardamenti la danneggiarono,  non la distrussero però, così nel tentativo di consegnarla per sempre all’oblio si decise di costruirci sopra un parco pubblico. Non  sono però riusciti a farla dimenticare nonostante l’impegno profuso e negli anni ottanta la Soprintendenza arrestava definitivamente la profanazione di questo luogo  riprendendo gli scavi che ebbero un impulso decisivo nel 2000 così che oggi, dopo tante vicissitudini,  può essere ammirata in tutta la sua bellezza, rendendo omaggio a quella Livia che attraversa la storia come personaggio chiave dalla Roma repubblicana a quella dell’ Impero essendo vissuta la nobildonna romana fino all’età di novanta anni sopravvivendo a molti dei suoi parenti.

Grazie a Legambiente di Castenuovo di Porto ci apprestiamo oggi ad entrare a conoscere uno di quegli intimi luoghi privati della Roma augustea, ripercorrendo i momenti della vita pubblica e privata dei nostri antichi padri.

Già quello che resta del primo ingresso alla villa ci restituisce l’idea dell’ampiezza del complesso che si estendeva per circa 800 metri quadrati e divisa se così si può dire, nella parte pubblica di ricevimento e ostentazione, e in quella privata dove ci si ritirava a dormire o a dilettarsi nello studio protetti alla vista degli ospiti ammessi alla residenza.

Sono notevoli i mosaici che ancora si trovano all’interno della villa, in alcuni casi sovrapposti ad altri per i numerosi rifacimenti, i più antichi detti a stuoia.

Di fronte alle camere da letto, sicuramente piccole per i nostri standard ma riccamente affrescate è un piccolo giardino interno dove sono stati ritrovati i contenitori per le piantine da mettere a dimora, un sistema tutto sommato identico a quello che noi usiamo oggi. Pare che Livia avesse tra le altri doti quella del pollice verde e che fossero le tisane di questo giardino il motivo della sua longevità.

Voci maligne la ritengono responsabile della morte del marito Ottaviano, qualcuno ritenne a causa di fichi coltivati proprio da Livia in questa villa e alcuni più maligni ancora della morte di tutti gli eredi diretti al trono, tanto da spianare così la strada a suo figlio Tiberio.

 

La villa non era solo dotata di ampi ambienti per la “rappresentanza” ma anche di due piscine e di un impianto termale, oltre ovviamente alle latrine ed era dotata di un impianto fognario e di un impluvium per la raccolta dell’acqua piovana dai tetti che poi veniva incanalata in una grossa cisterna.

I numerosi ambienti sono tutti riccamente affrescati e questo nonostante Livia fosse nota per vestirsi semplicemente, senza alcuna sfarzosità nel suo presentarsi in pubblico, morigerata perfino nelle spese della villa imperiale che non delegava a nessuno,  tanto da spingere il marito a concederle di amministrare i suoi beni privati, una cosa per l’epoca assolutamente fuori dal normale.

 

 

La storia ci racconta come Livia fosse amata dal popolo e nota per sua generosità nel premiare i servi meritevoli donando loro la libertà e, in un secondo momento, alla loro morte facendoli seppellire in un mausoleo privato. Sono anche molte le testimonianze che ce la raccontano in prima fila durante i numerosi incendi che scoppiavano a Roma per spegnerli o per dirigere le operazioni di soccorso. Insomma una imperatrice che forse meriterebbe qualche approfondimento in più proprio in questa sua villa, ormai, speriamo, definitivamente strappata all’oblio.

Conclude la visita il giardino degli allori, il lauretum, ricreato a rendere l’idea di quello che poteva essere un tempo da dove venivano presi i rami per le corone trionfali e il piccolo e accogliente museo.

Non potrete invece vedere la statua marmorea di Augusto qui rinvenuta pressoché intatta nella seconda metà dell’800 ma portata ai Musei Vaticani essendo questi all’epoca terreni della chiesa e nemmeno la sala sotterranea con le vedute affrescate di giardino, danneggiata dai bombardamenti. Ora gli affreschi sono visibili in una ricostruzione presso il Museo Nazionale Romano a Palazzo Massimo, il che ovviamente no è esattamente la stessa cosa che poterli vedere qui, dove erano, in questa villa che ha attraversato i secoli per giungere fino a noi con la sua storia, le sue leggende e la sua intrigante padrona a metà strada tra una Lucrezia Borgia e una santa benefattrice tanto che il Senato poco prima della morte del marito arrivò a nominarla Mater Patriae in un’epoca in cui le donne  erano considerate “proprietà” da essere scambiate per unire le famiglie o per la continuazione della gens.

Livia Drusilla, una donna che dietro le quinte segnò le sorti dell’impero, arrivando ad essere adorata nel culto di Livia-Cerere a cui furono dedicate festività e templi e la cui villa ora è a due passi dalla fermata di un trenino urbano che lento e un po’ sgangherato, corre lungo la Flaminia anche lui, a modo suo, attraversando la Storia.

Ringrazio Fulvia Polinari della Soprintendenza Specile per Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma per avermi magistralmente condotto in questa scoperta, il Circolo di Legambiente di Castelnuovo di Porto per aver organizzato l’evento nell’ambito della manifestazione Treno Veio Tuscia e tutti coloro che insieme a me hanno vissuto questa straordinaria emozione.

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