LOST IN SANTO SPIRITO

Sono stato ricoverato all’Oftalmico di Roma che per una di quelle strane coincidenze del destino sorge proprio dinnanzi a quella che è stata la mia scuola elementare, anzi la Regia Scuola Elementare che quel “Regia” e gli staccati fasci littori ancora si intravedono come ombre nell’intonaco. Sono trascorsi 50 anni, i più maligni direbbero mezzo secolo e oggi non puoi più morire sotto i ferri senza il tuo esplicito e consapevole consenso, ovviamente letto, firmato e sottoscritto. Del resto siccome la cardiologia certifica che nonostante si dica che sia assai meno cinico di qualche tempo addietro io sia un uomo di poco cuore, appena un pezzetto. Questo implica, sentimenti a parte, (ma io ritengo che quelli risiedano nello stomaco) che prima di qualsivoglia operazione vada attentamente valutate le probabilità di uscirne vivo. Sono le 9 e 45 di un giovedì quando viene a prelevarmi la simpatica coppia per portarmi al Santo Spirito. Lei una napoletana poco più alta della metà di me, lui un po’ più alto di me. Ho un’ambulanza tutta per me, uno spreco ma mi sento quasi un signore, anche se a quanto pare non ho diritto al giro con la sirena. E’ ancora un ritorno a quelle quasi dimenticate origini papaline quando con il Vaticano eravamo tutt’uno. E’ via della Conciliazione, fermi al semaforo proprio sotto la casa dei nonni al lato della vecchia Sala Traspontina che scendendo ero già al cinema. E’ chiuso il grande portone eppure in quell’istante rivedo quel cortile interno, zeppo di piante invasate ch’era la mia personale giungla salgariana e l’acquario con i pesci del portiere. Si scherza in ambulanza che romani e napoletani hanno la sacralità della battuta come fosse questione di vita o di morte. Propongo un caffè e mi guardano storto: “prima della visita cardiologica???” Napoletano si ma molto professionali. Mi lasciano all’ambulatorio di cardiologia, faccio la mia fila che l’appuntamento è solo una ipotesi e ottengo il foglio della cardiologa, dovrei fare un eco cardio però, dicono tra una ventina di giorni. Obietto che tra venti giorni forse l’occhio non ce l’ho più. La dottoressa scivola via, quello che doveva fare l’ha fatto il resto sono affari miei. Come spesso avviene begli ospedali, oramai purtroppo ho una certa pratica, è un’infermiera che supera la logica burocratica di quelli per cui il lavoro è solo questione di soldi e orari e riesco a fare quell’eco cardio per ultimo della giornata. All’una chiudono, mi consegnano la cartella clinica, parere della cardiologa, tracciato dell’ecocidio e mi dicono che verranno a prendermi tra poco per riportarmi all’Oftalmico. Almeno dovrebbero e in questo caso il condizionale lo usano estremamente a proposito. Credo che fossero le due quando passa un infermiere mi vede e mi chiede cosa sto facendo li. Glielo dico. Gli sembra strano e telefona. Nessun problema l’ambulanza è già dentro ancora un po’ e salgono. Alle tre del pomeriggio mi vede un dottore di quelli con la barba bianca e curata che sembra un filosofo o un divulgatore scientifico della televisione. Devo sembragli come uno di quei cani che abbandonano in autostrada. Mi chiede lumi e io lo illumino anche se non d’immenso ma pare basti. Telefona anche lui e manco a farlo apposta stanno per arrivare. Ribatto che magari chiamo un taxi. Non sia mai potrebbe succedere un “casino”. Di che tipo lui non lo sa ed io sono troppo stanco per ribattere con quel pezzo di cuore che mi fa andare avanti. Oltre tutto non mi devo muovere, se no non mi trovano e ovviamente è un altro “casino”. Mi viene da pensare che più che un ospedale si tratti di un postribolo ma è solo la cattiveria gratuita di un paziente che sta perdendo la pazienza. Inutile dire che nel frattempo non ho mangiato e neppure bevuto. Ora accade che nella vita arriva sempre quel momento che le certezze crollano e ti assale il dubbio. Alle quattro e mezza ho finalmente cominciato a pensare che forse, e di forse, si erano dimenticati di me. E’ quando tutto sembra perduto che ti viene quel colpo di genio che d’improvviso ribalta la situazione. Chiamo i carabinieri e gli dico che sono un paziente dimenticato in un altro ospedale. Cortese mi dice di attendere in linea, poi mi chiede il numero del mio letto in ospedale. Glielo dico, letto 14 secondo piano. Attendo ancora, mi risponde un’altra voce diversa dalla prima mi dice che stanno arrivando, solo che questa volta chissà perché…è vero !

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