MAGISTRATI & POLITICA

 

magistrati e politica

 

Il Consiglio d’Europa ci chiede di mettere un limite ai giudici in politica, una deprecabile abitudine di questo nostro bel paese. Ci chiedono di introdurre norme più stringenti per la partecipazione dei magistrati all’attività politica, innanzi tutto mettendo fine alla possibilità di mantenere il loro ruolo dopo che sono stati eletti. Si tratta dell’eterno conflitto tra i poteri dello Stato quando questi non sono ben disciplinati dalle leggi e dalla Costituzione.

Il rapporto è stato approvato il 21 ottobre 2016 e evidenzia le carenze, le lacune e le contraddizioni della legislazione italiana, sollevando dubbi sia sul punto di vista della separazione dei poteri che della necessaria indipendenza e imparzialità dei giudici. L’organismo europeo pur riconoscendo l’indiscutibile professionalità, reputazione e impegno dei singoli magistrati, segnala “ l’effetto negativo che qualsiasi presunta politicizzazione della professione può avere sulla percezione che i cittadini hanno dell’indipendenza dell’intera magistratura”.

I motivi per i quali sarebbe opportuno, in mancanza di una legislazione che se ne occupi, che i partiti evitassero di candidare magistrati sono molteplici. Il primo, evidenziato proprio dal rapporto europeo, è riferito all’indipendenza della magistratura che è chiamata a emettere giudizi che intervengono pesantemente nella vita dei singoli cittadini.

E’ fin troppo ovvio che chi viene giudicato da un magistrato “politicizzato” può ritenere di subire un giudizio non obiettivo, da qui la richiesta di non consentire il loro rientro qualora vengano eletti, sebbene si potrebbe obiettare che anche in caso di non elezione, quel magistrato viene comunque in ogni caso etichettato, venendo a perdere la sua imparzialità agli occhi del cittadino, imputato, ma di una parte avversa a quella del giudice.

Sulla imparzialità e indipendenza della magistratura di fronte all’altro potere, quello strettamente politico, si basa tutta la moderna democrazia occidentale, tanto che si è discusso a lungo su chi debba nominare i giudici e sulla divisione delle loro carriere. Un giudice o magistrato che sia non è un cittadino come gli altri proprio per il ruolo che deve rivestire.

Sussistono però motivi molto più gravi che porterebbero a considerare leggi ben più severe nei confronti della discesa in politica di un magistrato. Quello che molti non sanno è che un magistrato potrebbe aver fatto indagini su un qualsiasi cittadino, politico compreso che non hanno portato ad evidenziare nessun reato ma che avrebbero potuto comunque produrre informazioni riservate sebbene non penalmente perseguibili.

In quelle indagini di cui il soggetto non sa nulla, avrebbero potuto portare a conoscenza del giudice inquirente informazioni di tipo sessuale, adulterino o quant’altro che potrebbero costituire un’arma di ricatto nei confronti di un avversario politico , nel momento in cui il magistrato si candida con una parte politica ma anche in relazione ai suoi stessi colleghi di partito.

Attualmente nel nostro paese i magistrati in politica sono ben 18 e, soltanto teoricamente, ognuno di loro potrebbe aver inquisito chiunque, compresi membri del governo e parlamentari. E’ fin troppo evidente che questa condizione li pone su un ruolo diverso da quello di tutti gli altri comuni cittadini.

A questo proposito il Testo Unico delle Leggi Elettorali (DPR n. 361/1957)  cerca di regolamentare l’accesso alla politica e all’articolo 8 dispone, che i magistrati non sono eleggibili:

“nelle circoscrizioni sottoposte, in tutto o in parte, alla giurisdizione degli uffici ai quali si sono trovati assegnati o presso i quali hanno esercitato le loro funzioni in un periodo compreso nei sei mesi antecedenti la data di accettazione della candidatura. Non sono in ogni caso eleggibili se, all’atto dell’accettazione della candidatura, non si trovino in aspettativa”. Ancora, i magistrati che sono stati candidati, ma che non sono stati eletti, non possono esercitare per un periodo di cinque anni le loro funzioni nella circoscrizione nel cui ambito si sono svolte le elezioni.

Un po’ poco considerato che si tratta di uno dei poteri su cui si fondano tutti gli stati democratici moderni. In mancanza di leggi, possiamo invitare i partiti a non candidarli proprio per tutelare quella immagine di una magistratura che dovrebbe essere indipendente e sopra le parti.

Questo non significa disconoscere il ruolo che la magistratura ha avuto in Italia, supplendo in numerose occasioni alle mancanze della politica che non ha saputo, spesso e volentieri, promulgare leggi a tutela dei cittadini e dei loro diritti.

Nel 1975 furono i giudici a stabilire il diritto alla privacy, le leggi sono intervenute ben 21 anni dopo. Nel 1988 furono le toghe e non la politica a offrire tutela al convivente more uxorio, mentre il Tribunale di Roma in tempi recenti ha riconosciuto la stepchild adoption proprio nel momento in cui era il Parlamento a disconoscerla.

Vietare o rende estremamente difficile la possibilità per un magistrato di scendere in politica non significa disconoscere il loro ruolo, ma semmai elevarlo a quello di persone che hanno ruolo diverso da quello di tutti gli altri e che detenendo uno dei poteri fondanti degli Stati moderni non devono in alcun modo mischiarsi con gli altri poteri, quello esecutivo del governo e quello legislativo del Parlamento.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.