MASCHI E DEMONI

 

 

 

 Racconteranno i camerieri della locanda Mezzosoldo: “Hanno mangiato tagliata con verdure e bevuto due bottiglie di Marzemino, lui  assecondava  tutte le richieste di lei e poi andava continuamente in bagno”. Sono usciti da quel locale e hanno discusso nel parcheggio. Lei lo aveva lasciato già da un anno e denunciato per stalking. Aveva ceduto alle insistenze di quell’incontro. L’ultimo

Un maschio adulto in quell’età che dovrebbe essere della ragione che invece si balocca ancora con il vezzo d’apparire come un ragazzo. Il tennis giocato con un agonismo degno di miglior causa. “Un dritto che non perdona” e pur di non perdere abbandona il campo dicendo di essersi fatto male con la puerile leggerezza d’un bambino piccolo. Professionisti nel mezzo del cammino di loro vita su auto sportive e un imbalsamato sorriso da piacione, rincorrendo quello che non potranno mai comprare.

“L’ho finita col coltello per non farla soffrire” come se assassinare una donna potesse essere una battuta da telefilm seriale. Maschi che né il denaro né l’età ha reso Uomini. Tre fendenti al petto e uno al cuore. Ma prima, prima l’ha strangolata con le sue stesse mani.

Il viaggio. Tre giorni in quel nordest ricco e produttivo, per valli e pianura. Sono le montagne trevigiane e venete e poi il Lago di Garda. Il cadavere sempre sul sedile della BMW rigorosamente cabrio che nel bagagliaio non c’entrava. Tre giorni, tre come quei fendenti che il quarto, quello l’ha uccisa. Tre giorni accanto a quel corpo senza vita per disseminare le prove del suo delitto. Dorme in albergo. “Ho buttato anche il coltello”. Non sapremo mai se costeggiando le rive di quel lago l’avvocato abbia visto la sua stessa ombra che da quel fondo lo derideva o sentito l’umano disprezzo di quelli che Uomini lo erano diventati a sua insaputa.

Vorrebbe suicidarsi, dice ma per un codardo è sempre più facile uccidere che togliersi la vita. Abbandona cadavere e auto nel garage di sua madre, come non fosse più un problema suo. “Ho fatto una cavolata”, dirà com’avesse soltanto rubato della marmellata nella credenza dei genitori. “Educato, ponderato, riservato, mai uno scatto d’ira”, il ritratto che un collega fa dell’avvocato. L’abito elegante, la figura curata a smentire le teorie del Lombroso che vogliono il mostro orrido e repellente come il suo delitto.

Un giornalista deficiente che parla d’omicidio passionale come se la rabbia codarda d’un maschio incapace d’accettare la sconfitta d’una storia finita, potesse essere, a qualsiasi titolo, passione. Strangolata e finita a coltellate, per non farla soffrire, dice lui e la vittima? La vittima non c’è mai. La stampa e la televisione s’interrogano sull’uomo, il carnefice, il boia in giacca e cravatta, il mostro che sembra una persona per bene. Della giovane donna poco o nulla. Già rimossa dalla coscienza maschile ancor prima d’avere una storia, un volto. Quel giornalista come il mostro che con ferocia ha ucciso.  I demoni, i demoni, quelli sono tra noi. E’ complice il silenzio degli Uomini troppo, troppo simile a quello di maschi indegni come l’avvocato assassino che nel garage di mamma trova rifugio per il suo non essere mai cresciuto.

Una notte d’estate, nell’Agosto torrido, arso ed immobile come molte altre notti e Lucia non c’è più.

 

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