MI PRESENTO, SONO IO

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Nasco straniero per caso in una Milano che non m’appartiene, ben oltre l’imperante limite della mia città di regnanti papi come se, il randagio andare per luoghi, dovesse esser sancito fin dal mio primo ignaro sgranare lo sguardo sul panorama d’un mondo che sfuggirà di continuo.

 

Rientro all’ombra delle Mura Vaticane dove, come si soleva dire in quel tempo passato, apprendo a leggere, far di conto e, soprattutto , a scrivere, l’unica attività che sarà costante nel mutevole svolgersi dell’esistenza.  E’ in quel periodo che compro i miei primi libri.  Tutti e quattro i volumi di Mary Poppins di Travers, Robinson Crusoè e poi Salgari, Verne e quanto fosse edito per ragazzi.  Nascondo il Giornalino di Gianburrasca, opera allora sconveniente e proibita.  Nel corso dell’esistenza quei libri si sono moltiplicati riempiendosi di note, scritti a margine che negli scaffali di legno a modo loro compongono la mia storia, geloso di quei tomi come non lo sono stato di donna alcuna.

 

     Per un fortuito incontro scolastico con un regista partecipo al Festival dei Due Mondi di Spoleto recitando nell’opera “La Zattera della Medusa”. Una messa in scena d’avanguardia.  Eravamo tredici ragazzini.  Tredici, uno doveva andarsene come nella trama dell’opera.  Non faccio in tempo a godere di quei frutti perchè forse è vero che nulla avviene per caso, neppure il battito d’ali d’una farfalla.

 

     Sbarco all’Hotel Novo Mundo a Rio de Janeiro.  La mia esistenza, l’essenza stessa di quello che sono si forma in quel Brasile dove ci trasferimmo subito dopo il colpo di stato.  Anni indelebili d’odori, suoni e colori diversi.  Un cielo stellato che non ha paragoni.  Anni che non cesseranno mai di riaffiorare dai cancelli della memoria con alterne e tragiche vicende.

 

     Attraverso la dittatura studiando dai padri barnabiti del Collegio Santo Antonio Maria de Moraes esuli in quella Mentana dove da sposato andrò ad abitare.Zaccaria di Rua do Catete.  Gli squadroni della morte.  L’arresto di un giornalista nel mio palazzo.  Botte e sangue.  I cadaveri per strada ma anche il Carnevale, il primo grande amore.  Era il ginnasio ed era la seconda metà degli anni 60.  Chico Buarque e Vinicius

 

    Torno, torno più straniero di quando ero partito ma, la mia città dovrà aspettarmi ancora.  E’ Velletri nei castelli romani presso i nonni paterni ch’avendo perduto tutto lì s’erano trasferiti dimentichi dei fasti papalini.  Poco tempo, affinchè anche quel mondo potesse non appartenermi.

 

     I miei rientrano ed è il Salario nella periferia di quella Roma ch’aveva soltanto intuito la mia esistenza.  Il Liceo Archimede, il sorgere dell’autonomia, i Collettivi, gli scontri in piazza, il cinema militante e gli anni di piombo.  Lavoro in una cartolibreria, l’Antares. Libri e giocattoli.  Libri. Dai miei non voglio nulla. Frequento La Sapienza, Lettere Moderne impregnandomi della critica letteraria di Roland Barthes.  Faccio il serigrafo, il restauratore, altro. Ad un esame presento un film sul poeta Dino Campana girato in passo ridotto.  Vengo chiamato dai docenti a tenere seminari su Montale e Campana.

 

     M’assale il male di vivere e fedele al nobile decadentismo della mia stirpe lascio gli studi.  Parto militare 91° Corso Auc, quindici mesi che mi consentono uno stipendio fisso.  Compro a rate un gigantesco proiettore Super8.  In un cineclub proietto il primo film di Nanni Moretti allora sconosciuto “Io sono un Autarchico”.  Organizzo rassegne cinematografiche per quel nuovo passo ridotto che pareva dare a tutti l’illusione di quel dolce inganno ch’è il Cinema.

 

     Per vivere faccio il falegname.  Apro un locale alternativo con altri.  Mescita di vini, formaggi, altro. Per entrare ci vuole la tessera e conosco la donna che diverrà mia moglie.  Una spagnola.

 

     Sono le prime Estati Romane con Renato Nicolini.  Il lavoro nei Centri Estivi del Comune di Roma e poi nelle colonie.  Vengo chiamato ad insegnare cinema e fotografia ai bambini delle borgate romane.  Vedo il mondo con i loro occhi, imparo, scrivo.  L’incontro con un bambino autistico.  I nostri mondi che per un istante si riconoscono.  Gli tiro la palla, lui me la ritira.

 

     Scrivevo, nel frattempo scrivevo.  Scrivevo per me, per quel male ch’è dentro alcuni di noi e che non trova altro sfogo che sulla carta bianca e scheletrica.

 

     Mi sposo e sono le favole scritte per mia figlia, lette e rilette la sera che nemmeno una parola poteva esser cambiata.  Ero segnato come operatore cinematografico e negli anni passati avevo collaborato con Radio Città Aperta.  Si potevano avere due qualifiche in quel tempo.  Renzo Rossellini apre la scuola Cinematografica della Gaumont e rientro nel Cinema come macchinista.  Cinecittà, la defunta De Paolis e in giro per l’Italia.  Per dieci anni alterno il lavoro più bello del mondo alla mia bottega di falegname. Intanto scrivo.

 

     Mi separo ed inizia l’avventura con le barche.  Le costruisco pezzo a pezzo. Il 25 metri di De Cecco, quello della pasta, l’Aga-Kan, la barca a vela di Dalema.  Le amo quelle barche che le mie mani realizzano.  Le amo come fossero donne e vivo una vita di compiacenti incontri.  Scrivendo nasce un libro “Caffè Grande”. Scopro la tecnologia e quella misteriosa macchina computatrice che invece di fare le somme, fa altro.  La mia Olivetti lettera 22 sogghigna sulla scrivania dello studio.

 

     Mi si apre un mondo nuovo, misterioso, affascinante e ignoto. Inesistente e virtuale e sono i ricordi del mio passato cinematografico che emergono a tratti dalle opaline nebbie della rimembranza trovando per caso spazio su una rivista on line.

    Questo Blog in un certo senso e senza un gran senso logico è la continuazione di quell’esistenza nomade senza quelle radici che tutti voi, molti di voi, hanno, fino al giorno in cui come ogni cosa anche io… finirò.

 

 

               

 

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