MUYRAPIRANGA

1s-001C’è stato un momento lungo anni nel corso della mia esistenza che si è congelato rimanendo sospeso, immutabile e fermo. Un tempo di felicità che più non è stata, perduta come le tante cose che se ne vanno negli innumerevoli traslochi randagi e nomadi.

Il tempo. Strano fenomeno il tempo  che appena un attimo ti fermi e già la mano più non arriva nemmeno a sfiorare con le tese dita quanto ti sembrava impossibile lasciare ed ecco che dagli argentei cancelli dell’addormentato pensiero, la memoria di ricordi che emergono tenendosi per mano come i bambini di quel giardino di infanzia oltre lo screpolato muro di confine del Muyrapiranga. Alto, maestoso e bianco di finestre adorno come socchiusi occhi sul panorama di quel mondo. Bianco, come la perduta verginità del nostro sguardo.

Lui, il Muyrapiranga c’è ancora, luminoso e uguale a se stesso, mentre io non sono nemmeno il pallido ricordo di quel bambino che ero. Strana cosa il tempo che va e viene a suo piacimento come risacca sulla spiaggia. Noi le sballottate conchiglie frantumate che il mare carezza e, ancora ritorna a sfiorare protendosi umida a languida lingua.

Il mare, che oltre l’andana della Paissandù si faceva oceano, amniotico e intenso proprio come il tempo. Quel tempo che quando attendi si dilata infinito per ritrarsi in un attimo, minuscolo e breve come solo la felicità può essere che già tutto, in un solo istante è perduto.

E’ strano il tempo. Così ci siamo sentiti in una di quelle diavolerie tecnologiche che le distanze minimizzano. Ci siamo salutati, dopo forse mezzo secolo tutti insieme, quelli che ancora portavano il loro volo lungo l’orizzonte del mondo, che, qualcuno, aveva già preso la strada del non ritorno.

Ci siamo salutati, io che andavo a dormire per la tarda ora, chi invece stava andando a lavorare che per lui era già domani e chi, ancora doveva cenare come se in quel mio presente momento, fosse ancora ieri. Ci siamo salutati nell’inverosimile possibilità che non fosse per tutti lo stesso momento e, in tutto questo, un’unica immutabile presenza, lui, il Muyrapiranga. Lui con i suoi 12 piani e gli interminabili corridoi sul retro  dove, ne sono certo, ancora risuonano le nostre grida bambine, le nostre risate, le nostre corse fin negli archi quadri del suo portico tarchiato, rifugio dei nostri giochi.

Quel portico, affacciato lungo il muro di confine d’un giardino d’infanzia che oggi della metropolitana è l’uscita. Quel portico dove la mia infanzia, adolescente e fanciulla fu presa a sberla dalla realtà, scheletrica e cruda e, di quel tempo fu fermato il corso.

Non lo sapete ma ad uno ad uno vi porto dentro come attimi fuggenti di quel tempo e vi abbraccio e con voi mi balocco quando l’inverno della notte arriva e prende il sopravvento, io che son morto tante di quelle volte da aver perduto ormai  conto. Strana cosa il tempo…

 

2 thoughts on “MUYRAPIRANGA

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