NUBI

In un’era in cui parlarsi è quasi un evento eccezionale e il mondo per molti inizia e finisce lungo i bordi del monitor del PC è normale che il senso delle parole venga perduto sempre che, nel proprio immaginario, ne abbia mai avuto uno.

Quest’autunno piove, un fatto che dovrebbe essere assolutamente naturale in questa stagione e che solo nel nostro paese, eternamente stupito dalla banalità, può apparire come un fatto eccezionale e straordinario, tanto da poter diventare nubifragio.

Nubifragio. Nube viene dal latino e significa “frangere”, “rompere”. E’ in questa eleganza del termine che forse risiede il fascino bambino e ludico di quando vedevamo volti in quelle nubi che passavano nella nostra infanzia non portando null’altro che pioggia. Erano allora le calosce e le mantelle e il nostro sguazzare gioiso nelle pozzanghere fangose.

Le nubi, le nubi che vanno alla deriva come vascelli con il loro carico di pioggia che, ogni tanto, si frangeva su di noi. Una eleganza d’altri tempi che le odierne bombe d’acqua non potranno mai avere. Altri tempi, quei tempi andati che nessuna chirurgia plastica è in grado di ringiovanire. I fiumi, i fiumi poi (lo ricordate?), straripavano. Una cosa volgare e intollerabile oggi dove perfino i “vaffanculo” entrati nel linguaggio corrente sono cortesia.

Straripare è secco, esplicito, spietato e non lascia spazio all’imponderabile. Straripare ci inchiodava alle nostre responsabilità, alla disattenzione e all’incuria per quelle “ripa”…gli argini, le rive che non abbiamo mantenuto efficienti e in ordine. Vuoi mettere “esondare”? Già nella bocca lo senti farsi gonfio e montare ancor prima di varcare le labbra. Rotondo come una scultura di Botero. Esondare lo scandisci e contiene l’onda che, come tutti sappiamo è come donne, capricciosa e imponderabile. Arriva quando meno te l’aspetti. Esondare rimanda al destino e chi siamo noi per opporci a tanto?

Sono solo parole direte voi, è vero sono solo parole.