ALTRO CHE UNA MACCHINA A GETTONI!

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Torna di moda e con lo stesso identico stupore d’un tempo. Sensuale come un Bolero, ammiccante come una donna di facili costumi, il Flipper era tutt’altro che una macchina a gettoni per il divertimento. Aveva a che vedere con il sesso, in un tempo in cui era proibito perfino nominarlo e non deve essere un caso che in origine si chiamasse pin ball in un’epoca in cui sul lato di dentro degli sportelli degli armadi appendevamo le foto delle pin up, miti inavvicinabili d’onirici amplessi.

Prendere possesso del Flipper, perché di questo si trattava,di possederlo e non di una semplice partita, era un momento catartico che già in se dava una profonda emozione. Tocca a me ed ora vi faccio vedere di cosa sono capace e davanti a tutti voi, il che era il massimo possibile d’un inconscio voyeurismo. Se eri bravo davvero, avevi il tuo pubblico quando giocavi.

Per prima cosa provavi la fluidità delle pinne mobili (flippers) che controllavano la traiettoria della pallina, non sia mai che quello prima di te le avesse in qualche modo incastrate o, ancora peggio, lesionate.Il che equivaleva allo sfiorare i capelli di quella ragazza della terza C, quella che li aveva lunghi e setosi a cui ogni maschietto ha volto il suo pensiero nel buio della propria cameretta. Delicati schiaffetti sui fianchi dati con le dita libere dal tasto, di solito rosso che faceva scattare i flippers, saltelli, robuste spinte in avanti con tutto il bacino che  era il tuo corpo che influenzava la traiettoria della bilia che correva ad infilarsi in stretti corridoi e sbattere e ribattere come si trattasse di tutt’altro. Chi di voi vi ha giocato ricorderà con quale entusiasmo si imboccava il corridoio dove la paperella impazzita comincia a volteggiare su se stessa regalando punti mentre scattava con secchi colpi lo … lo score.Uno, due, tre, quattro mila…  Che presi dalla foga della partita ci sembrava perfino ch’ancheggiasse il flipper mentre tenedolo per i fianchi lo scuotevamo cercando di non azionare il Tilt ch’avrebbe messo fine anzi tempo a quella sorta di orgasmo. No, il Flipper tutto era meno che una macchina a gettoni!

Per giocarci innanzi tutto dovevi aspettare il tuo turno, come doveva accadere in quei postriboli che grazie alla Merlin, quelli della mia età non hanno mai conosciuto. Gli special arrivati a un certo punteggio regalavano altre palline da giocare. Quello prima di te doveva o finire i soldi o finire le palline e tu gufavi che accadesse al più presto l’una o l’altra eventualità, perché tutti volevamo lo stesso flipper. Quello e non un altro qualsiasi che non erano tutti eguali.

Ma  il Flipper, al contrario di slot o altre macchine dei nostri giorni, era meritocratico. Se eri bravo si concedeva, ti premiava e continuavi a giocare senza doverci mettere dentro altre monete, infilando nelle buche una pallina dopo l’altra. Finchè, vinco gioco io e nessuno poteva avere nulla da obiettare, secondo una di quelle regole non scritte che a quei tempi aveva più valore di quelle scritte nero su bianco. Le luci ammiccanti, i suoni, il rumore della bilia di acciaio e il tuo scuotere quella macchina imprimendogli vigori colpi e  l’illusione che quella partita, la tua partita, potesse durare all’infinito.

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